LA STORIA DEL MICHELOTTI

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Un angolo cupo di Torino 

Se sul parco Michelotti pende nuovamente un destino fatto di gabbie e recinti, per umani stolti e pericolosi che sceglieranno di pagare per entrare e non umani che invece non avranno sicuramente scelta e neanche la moneta per barattarne l’uscita, capita che, scorrendone un po’ la storia, si ritrovino trascorsi che trasudano di violenza e ingiustizia.
Chissà quante storie dimenticate si nascondono dietro ogni mattone di questa grigia città, ma leggendo di quel parco pare che, anche nella sua storia meno recente, sia riuscito ad essere emblema dello squallore umano.

Già, perchè quel parco ricopre quello che fu il canale Michelotti, o meglio ancora una “bealera”.
I “mulini natanti”, presenti dal XV secolo sul fiume Po, agli inizi del ‘700 cominciarono ad infastidire una navigazione sempre più massiccia e con il passar del tempo, anche a causa della maggior richiesta di produzione, i mulini sul fiume vennero trasferiti prima sulla sponda destra e poi sulla terra ferma.
Dal napoleonico “canale dei mulini”, alla diga michelottiana realizzata tra il 1816 e il 1817, Torino, nel suo processo di industrializzazione e di crescente richiesta di energia idraulica, adattò così un’altra parte di natura all’incedere del così detto progresso.

Se a “fianco” di quella bealera sembra si sia snodato molto dello “struscio” della gente “bene” torinese, “dentro” quella bealera si legge che molti siano stati i morti, per suicidio o morte accidentale.

“Per la sua funzione motrice, il canale era stato progettato per arrivare alle ruote idrauliche con la massima velocità possibile dell’acqua, per cui la corrente era fortissima, e non lasciava scampo a persone o animali che accidentalmente vi cadessero. Per questo, ben più del vicino fiume, era il terrore delle madri della zona, in un’epoca in cui, ancora di là a venire televisione e computer, bambini e ragazzi passavano la maggior parte del tempo libero dagli impegni scolastici fuori casa, almeno dalla primavera all’autunno nelle belle giornate. Ogni mamma, quando vedeva il figlioletto uscire di casa, specie per giocare con gli amichetti, cominciava a entrare in ansia e apprensione; in effetti, non si contano gli incidenti, quasi sempre mortali, provocati dal canale a carico specie di giovanissimi.”

CANALE MICHELOTTI

In riva al fiume il placido canale
Guarda dalle giallastre acque fuggenti
Errar gli amanti, lungi alle cadenti
Ombre del solitario alto viale ;

Ascolta l’amoroso inno che sale
Palpitando fra i rami, ode le ardenti
Parole e le promesse e i giuramenti
Susurrar sotto il verde arco ospitale.

Ma il canal che da tanti anni le mille
Viltà conosce, e orribili ha raccolto
Segreti di morenti ampie pupille;

Il placido canal par che sorrida…
Laggiù, fra le confuse onde travolto,
Galleggia il corpo d’una suicida!

(Giuseppe Deabate – Il canzoniere del villaggio – F.Casanova Editore – Torino 1897)

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Ma la città cresce e nei decenni cresce anche la sua industrializzazione.
L’energia idraulica lascia il passo all’energia elettrica e il canale diventa quindi inutile.
Il progresso.

Passano gli anni e arriva anche il fascismo che non risparmia niente e nessuno.
Questo il racconto di un nipote il cui nonno viveva sulla sponda del canale Michelotti.

“Mio nonno già negli anni venti aveva conosciuto la violenza delle squadre fasciste, nel 1925 era sfuggito per miracolo alla morte; un gruppo di fascisti aveva tentato di eliminarlo nel canale Michelotti, un canale antico dalle acque limpide e poco profonde che scorreva parallelo al fiume Po.
Non erano riusciti nel loro intento. Il canale era troppo stretto e le acque profonde del fiume non erano facilmente accessibili in quanto il ponte non esisteva ancora.
Ma il fascismo, al potere dal 1922, non poteva essere fermato da mio nonno. Ormai controllava il paese e tutte le sue istituzioni, la polizia e l’esercito. Come misura di repressione mio nonno fu richiamato alle armi in data 1 Gennaio 1926 ed inquadrato per mesi sei nel reggimento 91° fanteria di istanza a Torino, all’età di 37 anni, con una bambina appena nata, e una moglie a carico.
Ancora divise e pennacchi, ancora armi e cannoni, ancora caserme e folli comandi.
Tuttavia, nonostante le continue minacce, le repressioni, le fughe improvvise lungo il fiume all’approssimarsi degli squadristi, mio nonno continuò il sua corsa disperata, non rinunciò mai alla sua attività contro il regime.
La sua sorte però era segnata. Le forze in campo erano disperatamente impari. Non poteva sperare di fuggire sempre senza essere sorpreso negli anni a seguire.
E così fu.
Martedì 17 Novembre 1931 era una giornata piovigginosa, la temperatura era scesa a 8 gradi, non c’era vento. Durante le settimane precedenti le piogge era state incessanti, e le acque del fiume erano ora veloci e limacciose.
Martedì 17 Novembre 1931 alle ore 9,00 i fascisti riuscirono a fermarlo.”

Ma il fascismo, tra politica del terrore e manie di grandezza, attua anche quella che ai giorni nostri chiamiamo gentrification, trasformando anche via Roma in quella che conosciamo ora (e di cui potremmo tranquillamente fare a meno).
Detriti su detriti di case abbattute. Tutto spianato per far spazio a via Roma Nuova, un ennesimo monumento di forza e imponenza, inaugurata da un’immancabile parata al passo dell’oca, all’ombra di quello che fu il primo “grattanuvole” torinese, la torre littoria.

Montagne di macerie, pezzi di un vissuto cancellato per sempre con destinazione “discarica Michelotti” a riempire un canale ormai inutile, non più funzionale alle necessità umane. Chissà se per agevolare la messa in dimora dei detriti avranno fatto leva anche sulla pericolosità dell’ormai inutile bealera. L’inservibilità che copre l’inutilità, l’inappropriato che ricopre l’obsoleto.
Violenze che ricoprono violenze in nome del funzionale, del progresso, del profitto.

La storia si ripete, e se il viale michelotti “oggi è un viottolo anonimo lungo il fiume, senza ricordi, senza memoria”, noi non lo siamo e non vogliamo esserlo.

Perchè quel parco, dai natali infausti e dai trascorsi tristi, vogliamo che finalmente viva di una vita propria che lo liberi dalle violenze passate e non lasci mai più spazio a soprusi futuri.

Michelotti libero

alcune fonti:
http://www.museotorino.it/view/s/f0ca38435bef423683a7e4820e82260f
http://digilander.libero.it/bertolinopietro/Ilpontevicino.htm
http://www.skyscrapercity.com/showthread.php?t=364547&page=408
http://www.comune.torino.it/archiviostorico/mostre/antologia_immagini_2004/teca4.html
http://www.seetorino.com/il-michelotti-prima-canale-poi-parco/

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La Storia del Parco Michelotti

december2015_157Ognuno ha la sua storia. Questa è la storia del parco Michelotti

Entrare in un parco è come oltrepassare una soglia: l’aria è diversa, i suoni cambiano, gli odori si sprigionano.
L’attenzione cambia direzione, i muscoli si rilassano e lo sguardo volge spesso in alto: verso le chiome degli alberi, dimora degli indiscussi fruitori alati dei cieli metropolitani.

A Torino ci sono tanti fazzoletti di verde: ci sono alberate secolari che costeggiano le strade, ci sono giardini storici, parchi che corrono insieme ai fiumi e altri che salgono insieme alle colline.
Ci sono addirittura due aree protette regionali: il parco del Meisino e il selvaggio parco di Superga.
Tra questi luoghi c’è un parco poco conosciuto, che ora sta vivendo un momento grave e che speriamo ne esca liberato.
E’ il parco Michelotti, che si estende lungo la sponda destra orografica del fiume Po, tra ponte regina Margherita e il ponte della Gran Madre.

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Gli inizi

Il suo nome è dedicato alla memoria di un uomo che visse alla fine del 1800: Ignazio Michelotti, ex sindaco di Torino ma soprattutto architetto idraulico che si adoperò per la realizzazione di numerose opere idrauliche. Tra queste un canale di derivazione del Po di 3 km, che forniva energie a numerose fabbriche ed al cui posto, una volta interrato negli anni trenta del 1900, nacque il Parco Michelotti.

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1955 – 1987

Il parco Michelotti diventa teatro di sofferenza: la giunta comunale delibera l’assegnazione del parco ad un privato per la realizzazione di uno zoo.
ippo
VEDI QUI
Lo zoo di Torino nel 1965
C’era una volta uno Zoo – Torino 1980
La società Molinar si aggiudica l’incarico e partono le spedizioni alla ricerca di animali da imprigionare. Incaricato è, con altri, Arduino Terni, uno dei più famosi collezionisti e allevatori di animali saccheggiati alla libertà.

LEGGI QUI

NOI, MERCANTI DI BELVE
Lo zoo di Torino vivrà 32 anni, dal 1955 al 1987, per l’appunto. In quegli anni si narrano storie di evasioni, morti e apatie per i suoi prigionieri. Gli animali sono numerosi e appartenenti a diverse specie: orsi polari, giraffe, elefanti, foche, serpenti, zebre, fenicotteri, orso bruno, scimmie… Tutti animali privati della libertà e imprigionati con l’unico scopo di creare profitto usando la loro esistenza, la loro vita.
E’ inquietante leggere alcune frasi dei gestori dello zoo di allora:
“Poche gabbie, molta libertà per gli animali: questo è il nostro motto”.
Terni e Molinar. 1955
“Uno zoo moderno ha scopi di divulgazione naturalistica, ricerca scientifica, conservazione di specie rare, didattica”.
Benedetto Giusti, vicedirettore dello zoo. 1978

Le stesse parole che da allora sentiamo e risentiamo anche oggi all’apertura di “nuovi” zoo, che vengono raccontati come moderni e progettati secondo nuovi modelli.
Parole gonfie di falsi significati, che teoricamente dicono, ma praticamente non dicono nulla.

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1987 – 2015

foto passaggioIn questi anni il Parco Michelotti è destinato a diversi usi ma nessuno lo investe globalmente. Al suo interno si alternano differenti progetti che nascono e presto
muoiono: mostre d’arte, concerti, attività didattiche, corsi per aspiranti educatori cinofili, orti collettivi…
AD ESEMPIO, GUARDA QUI
STREETA
RTMUSEUM @ PARCO MICHELOTTI

E, sempre, nel silenzio, le gabbie vuote raccontano la vita dei suoi ex-prigionieri.
Il Parco Michelotti sembra essere stato investito da un cattivo presagio che  uccide tutto ciò che prova a nascerci… Tutto ciò che di umano prova a nascerci, in realtà e a guardare bene.

Infatti spostando il punto di vista quello che vediamo fino a questo momento è uno spazio pubblico, cioè di tutti, che si è reinselvatichito almeno un po’:
alberi ed altre piante ed animali di tante taglie e specie sono abbondanti e coraggiosi come mai potrebbero in un parco cittadino e men che meno in un
antropico bioparco.

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15 maggio 2015

Questa opportunità di libertà e diversità non è colta e la giunta comunale, su proposta di Enzo Lavolta, assessore all’ambiente e allo sviluppo, delibera le linee guida per il bando in concessione trentennale dello spazio dell’ex zoo.

Ciò che sta accadendo al Parco Michelotti ci coinvolge tutti, per una serie di conseguenze immediate e di più lungo termine: libertà, scelta, eguaglianza, …
ma passa praticamente sotto silenzio e senza che l’attenzione e la preoccupazione generale della città e del quartiere sia in allarme.

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29 giugno 2015

Pubblicazione dell’avviso di asta pubblica per l’affidamento in concessione trentennale.
LEGGI QUI
AVVISO D’ASTA PUBBLICA N. 56/2015

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14 ottobre 2015

Prima seduta pubblica per l’analisi delle proposte pervenute degli eventuali partecipanti al bando. Un solo candidato: zoom s.p.a.

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10 dicembre 2015

Il presidente della commissione di gara dichiara l’aggiudicazione provvisoria a Zoom Torino s.p.a./Zoom in progress s.r.l.

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Oggi

Siamo in attesa dell’aggiudicazione definitiva e nel frattempo leggiamo di nuovo le stesse frasi che gli ex gestori dello zoo di Torino usavano per la loro propaganda.
Zoom ci racconta di Educazione Ambientale, Conservazione della Natura, Benessere Animale. Ci “rassicura”, in quanto membro di EAZA, sul fatto che gli animali
che qui verranno chiusi in un’area limitata non avranno un passato selvatico da rimpiangere, poiché non saranno più strappati alla natura, ma verranno direttamente “progettati” per essere animali di cattività; non avranno mai sentito nella loro pelle, nelle loro zampe, nei loro occhi, l’istinto selvatico, la libertà di cercare cibo, di scegliere con chi accoppiarsi, con chi giocare, dove morire. Questa cos’è se non una violenta imposizione?
LEGGI QUI
ZOOM Torino. Chi siamo

Tutto questo è quello che non vogliamo e di questa filosofia di Zoom non sappiamo che farcene.

Liberi di entrare e Liberi di uscire. Tutti

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