Difesa Personale

“Gambe in Spalla”, il corso sulla difesa personale proposto e gestito da Luca domenica 24 gennaio nella palestra del Barocchio Squat, ci suggeriva già nel titolo l’idea della fuga, della necessità di correre  via da qualche cosa.

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Una Giornata sulla Lotta

EMPATHY 2015 - drawing aloud
EMPATHY 2015 – drawing aloud

Domenica 24 gennaio 2016, in quel posto di luci e forme che è il Barocchio Squat, è stata una giornata sulla lotta, in tanti modi:
corpi, idee, parole per resistere.

La giornata è passata dal corso sulla difesa personale “Gambe in Spalla”, per recuperare il nostro essere selvatico e muovere dei passi verso la possibilità di sapersi divincolare di fronte a possibili aggressioni, alla discussione sul dossier “Conoscerli per isolarli, isolarli per eliminarli” che alcuni attivist* milanesi hanno presentato.
Il tutto sostenuto da cibo vegetale portato da molti, per riprendere le energie dopo una fatica fisica e un’altra mentale.
La partecipazione è stata incoraggiante, a dimostrazione del fatto che si rimane vigili di fronte alla necessità di sapersi difendere da molte situazioni sia fisiche che non.

A fare nascere l’esigenza e la voglia di incontro sono state, tra l’altro, alcune recenti evidenze tra i compagni e le compagne di quanto sia facile scivolare nella pozza oleosa del qualunquismo politico: questo ci fa sentire la necessità, ancora una volta, di far luce sulle infiltrazioni di destra nell’ecologismo e animalismo.

A Torino sta per nascere un nuovo zoo.
E’ ambiguamente chiamato con nomi come bioparco, a richiamare la vita e il verde&felice, ma nella sostanza rimane prigione per animali, vittime dell’agire antropocentrico.
Il Comune di Torino, tramite l’assessore Enzo Lavolta, ha deliberato circa un anno fa la proposta di assegnare ad un privato una porzione del Parco Michelotti, dove già per i trent’anni e fino a trenta anni fa, sorgeva uno zoo, per il quale la città di Torino ha già espresso volontà di chiusura.
Al bando per questo spazio ha partecipato un unico candidato: lo Zoom, infelicemente noto zoo di Cumiana che per lucro detiene in cattività
animali, che mai avranno possibilità di ritrovare la selvaticità e destinati per sempre a rimanere comandati in uno spazio a loro assegnato.
Lo Zoom, unico partecipante e unico adeguato ad un bando di quel genere, come cucitogli addosso, si è quindi aggiudicato la gara.

Di fronte a questa situazione, si agita il mondo animalista, all’interno del quale si intravedono alcune figure e comportamenti ambigui, a volte più evidenti a volte meno.
Alcuni gruppi cavalcano con naturalezza posizioni xenofobe e autoritarie.
Altri semplicemente accettano che tutto possa essere praticabile per il benessere degli animali.

Eppure chi è convinto che le lotte si intersecano e sostengono e che la liberazione animale e della Terra sia anche liberazione umana, non può accettare velati o dichiarati comportamenti fascisti, che sgretolano l’idea di lotta costruttrice di una realtà di liberazione generale.

Il Dossier “Conoscerli per isolarli, isolarli per eliminarli”, che è stato presentato, è un’analisi mirata e fondamentale per comprendere e verificare quante infiltrazioni di destra più o meno estrema esistono e si diramano anche in ambiti meno ovvi.

Per un antispecismo che unisca le lotte e che porti in sé un forte e dichiarato nocciolo antiautoritario e sempre antifascista e per un Michelotti Libero di tutte e tutti, liberi di entrare e di uscire!

 

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DISAGIO

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Quando ho saputo che vogliono costruire un nuovo zoo – questa volta a Torino, al parco Michelotti – non ho pensato “ancora? ancora gli zoo?”. Non mi entusiasma proprio la retorica progressista che vede sparire le scorie di un passato preindustriale – i vecchi serragli, le vecchie fattorie – travolti da sistemi e relazioni più efficienti e più “civili”. In effetti, gli zoo si continuano a costruire; certo, si chiamano “bioparchi” e “fattorie didattiche”. Per carità, a volte ciò significa gabbie più larghe, migliori cure sanitarie, qualche attenzione in più: tutte cose che costituiranno, immagino, un piccolo miglioramento per chi trascorre la vita in gabbia. Per inciso, significa anche meno turbamenti fra chi li visita, gli zoo, meno critiche, meno dissenso (ma questa è un’altra storia). Ad ogni modo, al Michelotti questo vogliono fare: uno zoo “moderno”, per portare gli animali a contatto con l’infanzia.

Quello che mi è venuto in mente, stranamente, è un episodio di cui non ho mai parlato, che non c’entra con gli zoo, anche se – sarà un caso – il ricordo è affiorato ogni volta che si parlava di queste prigioni per animali, e adesso voglio ripercorrerlo.

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13 dicembre 2015 Torino – IV biciclettata per il Michelotti Libero!

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Scendiamo in strada, ancora, per dichiarare la nostra rabbia verso l’ipotesi sempre più reale che anche questo angolo di Torino, un parco per giunta, venga privatizzato e trasformato in un nuovo zoo. Non lo chiameremo zoo però, perché qualcuno potrebbe risentirsi: «non vogliono fare uno zoo! gli zoo sono fuori moda». Lo chiameremo allora con il suo vero nome: luogo di sfruttamento. Zoo: fattoria urbana: bioparco.

Scendiamo in strada inforcando le nostre bici, da sempre simbolo di allegra libertà e ecologica visione del mondo. Le biciclette, svincolate dal petrolio e dal denaro. Vive dei muscoli di chi le porta.

In una domenica prenatalizia, scegliamo di andare in strada, non per fare acquisti, ma perché la strada è la nostra. Sfidiamo il freddo pungente di Torino e montiamo in sella per raccontare con i nostri corpi su due ruote il mondo che vogliamo, senza luoghi di prigionia. Per nessuno. Per dichiarare che l’addomesticamento uccide, corpo e mente, di umani e non umani.

Domenica 13 dicembre alle ore 13,30 appuntamento davanti ai cancelli di quello che è stato per 30 anni uno zoo e che vogliamo non lo diventi mai più.

Parco Michelotti libero per tutte e tutti.
LIBERI DI ENTRARE e DI USCIRE.

Michelotti libero, stavolta per davvero!

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Il  20 e il 21 novembre 2015 il parco Michelotti è stato liberato per una TAZ di due giorni grazie a compagn* di case occupate e solidali arrivati da varie città e da varie realtà in un’ottica di scambio e condivisione con l’intento di vivere un luogo e aprirlo a tutte e tutti.

Una Temporary Autonomous Zone fatta di musica, concerti, writings, distro, serigrafia, cibo e pizze veg cotte in un forno autoprodotto, in cui sono stati fatti approfondimenti sulle ultime esercitazioni NATO Trident Juncture, con un dibattito antimilitarista a seguire e sull’appena concluso Expo, attraverso una lettura performata di “Gli spettacolari sensi di expo” del collettivo “Liberati da Expo”, con un riadattamento scenico ad hoc raccontando così anche quanto la giunta comunale preveda come squallido destino del parco.

Ci è sembrato importante riproporre Expo, anche a battenti chiusi, perché l’immaginario che ha creato continua ad esser riflesso ovunque, in ogni mistificazione della realtà, nel green-washing quotidiano e quindi anche nel cercare di rielaborare e far percepire le gabbie come “più felici”, nel tentare anche di venderci biglietti per spazi che già appartengono ad animali umani e non, nella loro libertà.

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Son passate più di mille persone in due giorni, e tutto il ricavato di cibo e bevande è stato destinato a benefit per Marina Cugnaschi e per i 4 compagni ancora in carcere dopo i recenti arresti per il primo maggio Noexpo.
Abbiamo condiviso spazi e tempo per rivendicare la voglia di contrastare logiche di speculazione, riappropriandoci tutt* di uno splendido parco pubblico,  un parco quindi di tutt*, destinato, invece, a trent’anni di privatizzazione e sfruttamento.

E’ stato raccontato di dominio, di liberazione animale e di cosa fosse quel parco un tempo e quali siano i progetti del comune di Torino a braccetto con Zoom s.p.a., il solo candidato presentatosi al bando di gara per l’assegnazione del parco.
In molt* non conoscevano la storia e speriamo di aver contribuito a dare un motivo in più ad una lotta di liberazione.
Una lotta che per noi vede la liberazione totale di ogni vivente come obiettivo.

Dal venerdì alla domenica quel parco non ha più avuto un cancello, non ci sono più stati lucchetti, era di tutt*, come dovrebbe essere. Sempre. ????????????? Persone di ogni età sono state felici di trovare il parco APERTO e poter camminare su un tappeto meraviglioso di foglie, turbato soltanto dalla tristezza di quelle che furono gabbie e che non devono tornare ad esserlo; né lì, né altrove.
Per nessun*.

 

L’urlo

scary_black_gibbon_monkey_vicious_fanged_teeth_poster-rdcfc616f42f1442b81a605939e068b89_w2q_8byvr_324Sabato 5 settembre 2015 c’è stata una biciclettata NoZoo. Anche fossimo stati 10.000 sarebbe stato troppo poco, ma 20 assolutamente non è numero degno. Il “defilè”, anche stavolta, è stato numeroso. Comunque così è: pochi è sempre meglio che soli.

L’idea era far sentire degli spot amplificati, ma la fortuna gioca volentieri contro le opposizioni: il lettore mp3 ha infatti subito smesso di funzionare. Così a noi, pochi ed ammutoliti, restavano solo fischietti, campanelli, trombette. E la voce. Così a me, pedalando in mezzo alla gente del sabato pomeriggio – sai quella tutta “bella”, tutta uguale, quella che invece di tentare se stessa non fa altro che cercare di assomigliare a qualcuno – è venuto di provare un urlo. Un urlo qualsiasi, giusto per far girare quei crani svuotati, quei cloni in posa, verso di noi. Ha funzionato. Dopo qualche timido tentativo l’urlo è diventato indipendente, ha cominciato ad andare per conto suo, ha virato sul scimmiesco.

Giuro: non ho mai urlato così forte, mai così animale, tantomeno in pubblico. E poi, alla mia età! Mentre maldestramente affinavo il grido, la memoria, da sola, faceva marcia indietro di 50 anni: ero lì, bambino, visitavo lo zoo accompagnato da mio padre. Lui, ricordo, due o tre volte mi ci ha portato. Così, perché all’epoca il week-end non esisteva, era solo “sabato e domenica”, ed in quei giorni non c’erano molti altri posti in cui portare i figli. Allora le possibilità erano proletarie, i figli giocavano da soli, come gli orsi, e i padri non erano ancora gli odierni drogati
dai sensi di colpa e della riscossa figliale ad ogni costo, psicoterapie universali che muovono il PIL (altrui) trasferendo intere famiglie verso campi da sci, Gardaland, Disneyland, ludoteche, Zoom, acquari ed altre carceri animali.

Dello zoo di Torino ricordo l’immane tristezza degli occhi del gorilla (mio padre, benché macellaio fino ai vent’anni, ne fu molto colpito e me la fece notare) che “viveva” solo, inerte, perennemente seduto su un’altalena fatta col copertone di un camion. Ed un gibbone, una scimmia di piccola taglia, urlatrice ed iperlongilinea che vive saltando tra gli alberi. Uno splendido acrobata, di quelli che se caso mai andassero alle olimpiadi si porterebbero via tutto il
medagliere, anche lasciando a casa un braccio. Ricordo quella disgraziata scimmia incazzatissima, la ricordo avventarsi contro i visitatori e tentare di afferrarli sporgendo le braccia dalle sbarre. E la ricordo sfogare i suoi vani tentativi di liberarsi correndo in orizzontale sul perimetro della gabbia, a tre metri di altezza, ad una velocità centrifuga tale da non riuscire a vedere in che modo le sue quattro mani riuscissero ad afferrare e rilasciare gli appigli. E ricordo il suo urlo, fortissimo e disperato.

Sabato pomeriggio pedalavo adagio, osservando “l’umanità” di clone e cloni passeggiare inerte nel Truman Show del centro, e pensavo al gibbone, alla sua miserabile vita detenuta, finita chissà come, sicuramente male. Così ho trovato il coraggio di urlare sempre più forte. Per chiedergli scusa: per allora, per essere andato a vederlo, per aver contribuito al motivo per cui era prigioniero lì.
Così, piano piano, sono diventato solo un tramite: non ero più io ad urlare, era lui.
WG

Breve storia di due follie

nietzsche-hugging-a-horseTorino, Piazza Carlo Alberto, 3 gennaio 1889: un uomo, di fronte allo strazio di un cavallo frustato furiosamente da un vetturino, di fronte al suo sguardo implorante e disorientato, lo abbraccia, piange, diventa folle.

Torino, Piazza Palazzo di Città, 20 gennaio 2015: un burocrate, insensibile allo strazio di una città frustata dalla crisi e dall’abbandono, insensibile al suo sentire disorientato e disperante, abbraccia, sorridendo soddisfatto, una proposta folle.

In mezzo, tra le altre cose – l’immigrazione interna e transnazionale, le lotte operaie, l’outsourcing della FIAT –, l’apertura, il 20 ottobre 1955, e la chiusura, il 31 marzo 1987, di uno zoo. Le sue tracce nelle immagini sfarfallanti dei primi video amatoriali: una giraffa che allunga il collo e un elefante che tende la proboscide per prendere qualcosa da mangiare, degli orsi in bilico su del ghiaccio posticcio immerso in una specie di pozzanghera, delle scimmie che corrono su e giù da finti alberi di corda e d’acciaio, dei felini annoiati e immobili che si alzano solo per girare intorno a se stessi, avanti indietro, come la pantera di Rilke. Ma sempre con grazia, con una delicatezza che sbalordisce, con la capacità di perdonare l’imperdonabile. E sbarre ovunque e ovunque cemento.

E poi al posto dello zoo un bioparco. Un bel nome per dire la stessa cosa, lo stesso degrado del vivente a oggetto di oscena pornografia, la stessa noia, la stessa rabbia, la stessa grazia, delicatezza e capacità di perdono degli uni, la stessa protervia e arroganza degli altri animali. Lo stesso panottico, solo più fintamente gentile, lento, felice. In realtà, la stessa memoria ferita, in futuro; certo, questa volta da immagini ad alta risoluzione, in 3D, con colori precisi, da diffondersi con orgoglio sui social network. Le sbarre, però, più lontane, più difficili da scorgere, anche con gli zoom più potenti, più infide quindi; meno criticabili, se non da fanatici ed estremisti della libertà, perché rese invisibili o quasi. E, ovviamente, niente cemento questa volta! Erba, magari di plastica, ma erba comunque, Signori e Signore, bambine e bambini! Venghino, venghino!

Il burocrate sono in tanti e non han nome: son nati sani, mettono sulle zolle le mani e sperano di educare folle di bambini al pianto della reclusione, insegnando loro a pregare gli idoli della forza, dello sfruttamento, del dominio.

L’uomo del cavallo, invece, ha firmato il suo dolore, con un gesto estremo e con tanti nomi, tra cui anche quello di Friedrich Nietzsche. È nato folle, ha aperto le zolle, ha scatenato tempesta. E piange sempre la sera. Forse è la sua preghiera.

 

Oltre la specie